A Udine si avvicinò al terrorismo rosso.
La Cassazione ha rigettato la richiesta di cancellazione dell’ergastolo presentata da Cesare Battisti, l’ex latitante arrestato qualche mese fa in Sudamerica dopo 40 anni di fuga. Ieri i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’ex terrorista contro l’ordinanza del 17 maggio 2019 della Corte d’appello di Milano, che si era opposta alla commutazione dell’ergastolo con trent’anni di reclusione.
Battisti si era appellato a un accordo tra Italia e Brasile, in quanto nel paese latino non ci sarebbe la condanna all’ergastolo, ma i giudici hanno ribadito che non sussistono i termini affinché quell’accordo valga in questa occasione. L’ex militante dei Proletari armati per il comunismo, davanti al pubblico ministero milanese Alberto Nobili, ha confessato per la prima volta solo qualche settimana fa i quattro omicidi per cui è stato condannato dalla giustizia italiana.
Sono due i delitti attribuiti a Battisti in prima persona e due in concorso. Il primo risale al 19 aprile 1978, quando a Milano assassinò l’agente della Digos Andrea Campagna. Il 6 giugno dello stesso anno, a Udine, Battisti sparò alle spalle del maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro. Il 16 febbraio 1979, quindi, fece fuoco a Milano contro il gioielliere Pierluigi Torregiani e a Mestre contro il commerciante Lino Sabbadin, che militava nel Msi. Secondo la sua ricostruzione, fu proprio nel carcere di via Spalato, che Battisti si avvicinò ai Pac, una formazione vicina alle Br.