Il caporalato scoperto in provincia di Udine.
Due misure cautelari in carcere, nei confronti di altrettanti soggetti di nazionalità pachistana, ritenuti responsabili dei reati di intermediazione e sfruttamento del lavoro aggravato in concorso, commessi nei confronti di decine di loro concittadini.
Il provvedimento, emesso dal GIP del tribunale di Treviso, su richiesta della locale Procura, trae origine da un’attività investigativa avviata e condotta, tra i mesi di ottobre 2020 e febbraio 2021, dai militari del Nucleo carabinieri Ispettorato del Lavoro di Treviso con la collaborazione dei colleghi del NIL di Udine, a seguito delle risultanze ispettive derivate da una serie di controlli effettuati ad aziende agricole delle province di Treviso, Pordenone e Udine. Le indagini, coordinate da Anna Andreatta, sostituto procuratore di Treviso, hanno consentito ai militari di individuare una impresa operante nel settore agricolo, con sede legale a Cessalto, che reclutava cittadini pachistani da impiegare come manodopera per lavorare presso aziende del territorio, in regime di sfruttamento.
Le indagini effettuate.
Gli accertamenti condotti dai carabinieri attraverso complessi servizi di osservazione controllo e pedinamento, oltre che controlli ispettivi e acquisizione di informazioni testimoniali rese da numerosi lavoratori, permettevano di far emergere le condotte delinquenziali dei due indagati: il titolare dell’azienda fornitrice di manodopera, cittadino pachistano, che si occupava dell’impiego dei lavoratori presso le aziende agricole mentre uno stretto collaboratore, suo concittadino, reclutava e trasportava i lavoratori presso i luoghi dove gli stessi venivano sfruttati. Gli indagati, approfittando dello stato di bisogno e della situazione di vulnerabilità dei lavoratori, versavano loro una retribuzione palesemente inferiore a quella contemplata dai contratti collettivi regionali e nazionali, con la corresponsione di un compenso orario equivalente a meno della metà di quello previsto dalla norma.
Le indagini hanno permesso di far emergere, inoltre, come i due indagati imponessero mensilmente ai lavoratori sfruttati il pagamento di 100 euro per un posto letto all’interno di dimore in pessimo stato ed 50 euro per un pranzo esiguo, per poi impiegarli in lavori agricoli senza fornire loro i previsti dispositivi di protezione in spregio alle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro e, quindi, non garantendo loro nemmeno alcuna forma di prevenzione alla diffusione della pandemia da covid-19. I lavoratori sfruttati, alloggiati con sistemazioni precarie prive di riscaldamento con presenza di muffe, finestre ed infissi danneggiati e con la disponibilità di servizi igienici del tutto inadeguati, venivano svegliati alle prime luci dell’alba e accompagnati nelle aziende agricole dove prestavano la propria opera, sotto stretta sorveglianza, fino a tarda sera.
Il collaudato modus operandi con cui agivano gli indagati, venuto alla luce a seguito delle indagini svolte dai carabinieri della Tutela del Lavoro, consentiva loro di proporsi sul mercato agricolo ad un prezzo decisamente vantaggioso per le ditte committenti, che beneficiavano del reclutamento e l’impiego di manodopera irregolare, soprattutto in quelle attività particolarmente usuranti e faticose come la raccolta di prodotti agricoli e la potatura delle vigne che, per la peculiare natura dell’attività, meglio si prestano al fenomeno dello sfruttamento. Il minor prezzo offerto sul mercato veniva assicurato anche grazie alle mancate corresponsioni contributive previdenziali che venivano riconosciute solo ad una minima parte dei lavoratori impiegati.