Il 31 agosto di quest’anno ricorrono i 150 anni dalla costituzione del Consorzio Boschi Carnici, l’ente oggi preposto alla gestione e alla tutela di una vasta proprietà silvo-pastorale distribuita entro 17 Comuni consorziati della Carnia.
Nel 1874 venne stipulato l’atto di acquisto dei boschi carnici intestati al Demanio da parte dei comuni di Amaro, Ampezzo, Arta, Comeglians, Forni Avoltri, Forni di Sotto, Ligosullo, Ovaro, (Mione ex Comune), Paluzza, Prato Carnico, Preone, Ravascletto, Rigolato, Socchieve, Tolmezzo, Treppo Carnico, Verzegnis, Villa Santina. Si trattava dei così detti “boschi banditi”, delimitati da cippi in epoca veneziana e destinati alle sole esigenze dell’arsenale, senza possibilità di utilizzo da parte delle comunità locali, cui spettava l’attività di sorveglianza e denuncia al Consiglio dei Dieci (CX) di eventuali tagli abusivi.
In precedenza, tali proprietà erano di appartenenza a Regni e Governi che si susseguirono, ma sempre con la stessa forma giuridica. Nel 1580 le proprietà silvo pastorali oggi appartenenti al Consorzio, erano state bandite dal Nobiluomo Pietro Zane su incarico del governo veneziano al fine di “l’haver legni d’ogni sorte per uso et bisogno della Casa dell’Arsenale specialmente per remi, arbori da gabia, antenna et altre sorti di legnami, tanto necessari quanto ognun puol considerare.” Da allora questi boschi rimasero di esclusiva proprietà della Repubblica di Venezia tanto che, nella toponomastica dei luoghi, in molti casi si inserirono i termini “Bosco Bandito”, “Bosco di San Marco”, tuttora in uso. Sotto il dominio della “Serenissima Repubblica di Venezia”, questi boschi venivano affittati a veri e propri imprenditori che provvedevano al loro sfruttamento. Sarebbero dovuti trascorrere altri tre secoli prima di parlare di selvicoltura naturalistica e multifunzionalità degli ecosistemi forestali, tuttavia sotto il dominio veneziano vennero fissate regole pratiche per il buon governo del territorio forestale e delle selve, e soprattutto si concepì l’idea che la conservazione delle foreste si potesse ottenere non tanto imponendo la cessazione dei tagli, quanto piuttosto ammettendone un uso appropriato.
Da una relazione del 1794 dell’Assistente ai boschi del riparto della Carnia, Candito Morassi, emerge che la tipologia forestale di gran lunga prevalente era la faggeta, di cui se ne consigliava il taglio al fine di favorire lo sviluppo dell’abete rosso, dell’abete bianco e del larice.
Dal 1798 al 1806 i boschi passarono di proprietà all’Impero austriaco e poi a quello italico dal 1806 al 1814, al lombardo-veneto dal 1814 al 1866 e infine al Regno d’Italia. Con il contratto di acquisto del 31 agosto 1874, la proprietà passò ai 19 Comuni della Carnia (di questi 4 si sono accorpati e sono diventati 2) allo scopo riuniti in consorzio, appunto il Consorzio Boschi Carnici che, tutt’oggi, si occupa della sua gestione. All’inizio degli anni ’60 il Consorzio Boschi Carnici si costituì in Azienda Speciale Consorziale che si è potuta dotare di proprio personale tecnico e di custodia.
La storia degli ultimi decenni ha visto ampie zone della Carnia, dedite da secoli ad un’attiva coltura agraria e forestale e ormai progressivamente abbandonate dall’uomo, registrare un rinnovato interesse, in conseguenza di una cultura dominante che non valuta il territorio esclusivamente in termini produttivistici.
Dalla gestione del patrimonio forestale, infatti, non ci si aspettano più soltanto benefici come la produzione di legname e la protezione del suolo, ma se ne pretendono di nuovi: la tutela del paesaggio e della biodiversità, la creazione di ambienti adatti al turismo, al “benessere forestale”, alla ricreazione e all’educazione ambientale, la mitigazione dei cambiamenti climatici.
La storia degli ultimi decenni ha visto ampie zone della Carnia, dedite da secoli a un’attiva coltura agraria e forestale venire progressivamente abbandonate dall’uomo, registrare di pari passo un crescente interesse per la protezione dell’ambiente in generale e degli ambiti boschivi in particolare, in conseguenza di una cultura dominante che ormai non valuta il territorio esclusivamente in termini produttivistici, ma anche in termini di salvaguardia ambientale e idrogeologica, con una particolare attenzione ai relativi riflessi ecologici e ricreativi e turistici.
Coerentemente con questa radicale evoluzione, a partire dagli anni 60’ l’Amministrazione consorziale ha messo in atto una politica di progressivo potenziamento delle superfici forestali in gestione, in minima parte anche con l’acquisizione di terreni privati contermini alla proprietà, e soprattutto erogando servizi inerenti alla gestione del territorio montano che puntano alla creazione di sinergie e di valore aggiunto per le comunità.
Oggi il Consorzio, che ha sede a Tolmezzo, dopo i suoi primi 150 anni di storia, in base al nuovo Piano di Gestione Forestale per il periodo 2024/2036, si occupa oltre che della gestione forestale, anche di una serie di servizi rivolti ai Comuni consorziati e non. Di particolare rilevanza è l’immane lavoro condotto dal Consorzio all’indomani della devastazione provocata prima da Vaia e poi dal fenomeno del bostrico conseguente alla tempesta dell’ottobre 2018 che, ancora oggi, attanaglia i boschi della Carnia. Ed è stato il Consorzio Boschi Carnici il primo in italia ad aver ottenuto, nel 2022, la certificazione per lo stoccaggio dei crediti di carbonio, attività che lo ha portato alla sottoscrizione di numerose convezioni sul territorio per la gestione degli stessi crediti. Attraverso la sua attività rivolta ai privati ha avviato in regione il “Forest sharing”, processo attraverso il quale anche i piccoli proprietari boschivi possono avvalersi della collaborazione del Consorzio al fine di gestire al meglio le proprietà.
“Siamo soddisfatti di quanto il consorzio sia cresciuto in questi anni e di come la sua attività sul territorio sia servita ad arginare le conseguenze di Vaia e dell’infestazione di bostrico, che hanno rischiato di devastare i nostri boschi” dichiara con orgoglio il presidente del Consorzio Luigi Cacitti. “Siamo proprietari di 3000 ettari per la maggior parte boscati che gestiamo insieme agli altri 17.000 ettari di proprietà dei Comuni della Carnia: si tratta di un polmone fondamentale per il nostro eco-sistema e favorire l’economia locale basata su una filiera del legno reale, dove il Consorzio si è assunto un ruolo e la responsabilità come capofila. Grazie alla Regione Friuli Venezia Giulia oggi – dichiara Cacitti – il Consorzio può contare su aiuti importanti, finalizzati alla tutela del patrimonio boschivo di proprietà e di quello in gestione con il comune obiettivo di preservare una parte importante del territorio regionale”.